Altro che consenso, i “big” del PD non possono più mettere piede in piazza. Decine di comizi annullati.

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Questa campagna elettorale per le Europee ci consegna un dato certo: non esistono più leader o partiti che possano girare tranquillamente per le piazze d’Italia. Il PD, in particolare, con i suoi leader e i suoi candidati, è stato contestato ovunque, per quanto i media di regime siano stati ben attenti a nascondere le proteste e le solite cariche della polizia. Dopo essere stati fischiati e allontanati da Catania, Palermo, Napoli, Bologna, Firenze, ecc… ecco che addirittura Renzi decide di saltare del tutto l’appuntamento di Livorno, dove avrebbe dovuto sostenere anche il candidato a sindaco per le amministrative. Di seguito un report dell’accaduto dal sito di SenzaSoste.

 

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Ci sperava Marco Ruggeri. Dopo una campagna elettorale da candidato senza qualità, mai un guizzo o una invenzione o una proposta comprensibile, sperava davvero che fosse arrivato il momento del colpo d’ala, verso l’alto. Il colpo che fa prendere quei voti utili magari non a vincere al primo turno (a quello non ci crede nessuno), ma a creare un distacco di sicurezza dall’avversario nel ballottaggio.
Era già tutto previsto: mobilitazione dei riservisti Pd, Tirreno e media locali sull’attenti, come ai tempi dei Ciano, per amplificare la visita del Presidente del Consiglio, giornalisti amici pronti creare quei pezzi di colore utili per salvare, con la propaganda, un piccolo mondo piddino che sta morendo.
A dirla tutta era prevista anche la contestazione a Matteo Renzi, già annunciata in rete e sui muri della città.
I motivi per contestare Renzi naturalmente non mancano ma le norme approvate, e  quelle da approvare, sul lavoro e sulla casa rendono il suo governo particolarmente odioso. Se ne deve essere accorto anche lo stesso Renzi, che incrocia le contestazioni un po’ in tutta Italia. Tutta roba fatta sparire dai media, come quella di Palermo, ma che non potrebbe essere occultata quando l’attenzione è massima, proprio sotto le elezioni. Ecco quindi che Matteo Renzi si sfila dalla data livornese, ma non per le contestazioni, ufficialmente perché deve andare in Sicilia, come riporta il fido Tirreno. E invece, si scopre che anche la tappa palermitana è annullata. Motivo? Timore di contestazione a Palermo sia da parte dei movimenti, che avrebbero replicato quella di pochi giorni fa, che da parte delle associazioni antimafia per la questione della strumentalizzazione dell’anniversario della morte di Falcone. Certo che una salva di fischi in diretta, alle commemorazioni di Falcone, avrebbe fatto calare l’audience. Ma, uso ad obbedir tacendo, a credere agli impegni improrogabili del Presidente del Consiglio, che non temerebbe le contestazioni, c’è rimasto giusto il Tirreno. Si adegueranno presto alle nuove direttive, non c’è da dubitarne.
Il punto è che il maquillage di Renzi, fatto di una immagine di ripresa economica a cui non crede nessuno, rischia di sfaldarsi proprio prima delle elezioni. La stessa ministra Boschi ha ammesso che i sondaggi non vanno come previsto per il Pd, aggiungendo: “per colpa dei sondaggisti”. Strano, potremmo fare i nomi di diverse agenzie di sondaggi in area centrosinistra, saranno tutte prevenute verso chi le sostiene. Lo stesso Huffington Post Italia, diretto dalla giornalista di area centrosinistra Lucia Annunziata, ha pubblicato un servizio dove si parla del timore di Renzi di non fare il pieno proprio in chiusura di campagna elettorale a Firenze. Ma a quello ci penserà la Rai, come ha fatto sparire i fischi all’inno nazionale all’Olimpico (che sono stati raccontati ma non trasmessi)  lavorerà per Renzi.
Il timore del Presidente del Consiglio di prendere qualche colpo di immagine decisivo per una sconfitta elettorale, non può non ripercuotersi su Marco Ruggeri. La cui situazione non è certo rosea: rischia infatti di prendere dei voti insufficienti al primo turno per vincere le elezioni. E dopo, di dover affrontare il tiro incrociato di un elettorato che, rispetto a quello di centrosinistra, può ritrovarsi unito su un candidato qualsiasi nel desiderio di voltare pagina e mandare a casa il Pd. E così se Renzi ha paura di essere ostaggio delle larghe intese, in funzione anti M5S, dopo il 25 maggio, Ruggeri ha paura di essere ricordato per la disfatta storica, quanto auspicabile e meritata, del Pd a Livorno.
Se Isabel Allende dice che la paura non ha a che fare con la realtà, Renzi e Ruggeri sono lì per smentirla.

Contro l’uso pubblico dell’antimafia

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Cosa succede quando degli ex (?) genovesiani, mastelliani, berlusconiani ecc ecc si incontrano per commemorare Falcone? Si gira un bello spot in cui della gente parla, senza sapere quello che dice, introdotto dall’ “intellettuale” di coorte che dispensa arroganza ogni volta che apre bocca. L’unico che ha i titoli per parlare, Giuseppe Campione, viene “usato” per rinfrescare la facciata. Sia ben chiaro: nessuno di questi è mafioso, ma al sindaco Pino e all’assessore Scolaro non viene vergogna di aver servito Genovese e Lombardo? L’opportunismo politico al servizio di personaggi poco raccomandabili permette, al sindaco e al suo assessore, di poter parlare di antimafia? Si sa, quando si ricopre un incarico istituzionale, a un anno dalle elezioni, occorre un restyling di quello che si è stati. Ma non è così semplice. La finzione di certi comportamenti pubblici non riesce a nascondere le trame di un politica milazzese pronta ad accordarsi con chiunque pur di ottenere consenso. Lo scenario è desolante e iniziative come questa fanno inorridire se si pensa che a parlare è gente passata per Dell’Utri, Lombardo, Nania, Genovese, Mastella e tanti altri ancora. La politica dei sorrisi da cerimonia ci disgusta e il passato di questi trasformisti non si può dimenticare.

Un giorno triste così felice. Sócrates, viaggio nella vita di un rivoluzionario – recensione da minimaetmoralia.it

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Ai dirigenti del Botafogo, che gli proposero il primo contratto professionistico, rispose senza tentennamenti: «Voglio diventare un medico, e fare la mia parte per un Brasile democratico». Lo stipendio era funzionale al pagamento dell’università, e si laureò. Quel ragazzino, alto e magro, illuminava il gioco del calcio, che era una questione di ribellione, allegria, passione e fratellanza. Il gioco degli inglesi reinventato come attività artistica. Disegnava, con il pensiero e poi con il piede, traiettorie inimmaginabili per gli altri; dotato di un’intelligenza e una coscienza critica fuori dal comune. Leggeva, e amava, i grandi pensatori e filosofi greci quanto le opere di Jorge Amado e Gabriel Garcia Marquez. «Dovrebbe giocare di schiena con quel tacco che ha», sosteneva Pelé. Lui: «Colpivo la palla di tacco per farvi innamorare, mai un colpo inutile perché la bellezza è un bene necessario».

QUI LA RECENSIONE INTEGRALE

Paolo Pasi: HO UCCISO UN PRINCIPIO – recensione da Carmillaonline.com

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  (…) In realtà il gesto di Gaetano Bresci fu molto di più di un attentato. Fu un atto di giustizia individuale ma di fatto collettivo, la punizione storica del Re Mitraglia. Reo di avere premiato i massacratori di centinaia di proletari, nel ’98 milanese ma anche nel resto della penisola. Un incoraggiamento del sovrano a proseguire sulla stessa strada. Come si fece, in effetti. Gli eccidi di povera gente, nel primo decennio del ventesimo secolo, furono innumerevoli. Massacrati a grappoli, per essersi ribellati alla fame, per avere lanciato sassi contro chi impugnava fucili. Bersaglio principale il Meridione, dove le masse erano meno organizzate e più indifese. (…)

QUI LA RECENSIONE COMPLETA

 

Prove di militarizzazione, la nuova realtà del neofascismo – il manifesto

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Più che mani­fe­sta­zioni, sfi­late di tipo para­mi­li­tare con i par­te­ci­panti dispo­sti non per file, ma inco­lon­nati e in movi­mento al passo dei tam­buri. Nes­suno ai lati. Tutti in divisa: magliette o felpe nere, pan­ta­loni dello stesso colore, anfibi ai piedi. Mol­tis­sime le fiac­cole. Davanti, ad aprire il cor­teo, un nugolo di ban­diere con la croce cel­tica. Così la mani­fe­sta­zione neo­fa­sci­sta di Milano lo scorso 29 aprile, pre­senti tutte le sigle dell’estrema destra, orga­niz­zata per com­me­mo­rare oltre ai caduti mis­sini degli anni Set­tanta, Ser­gio Ramelli ed Enrico Pede­novi, Carlo Bor­sani, un gerarca fasci­sta, fir­ma­ta­rio del Mani­fe­sto sulla razza, non­ché col­la­bo­ra­tore dei nazi­sti, fuci­lato dai par­ti­giani alla libe­ra­zione della città.

QUI L’ARTICOLO INTEGRALE

Io sono un autarchico. Ovvero come imparai a vendicarmi infischiandomene dei milazzesi tutti.

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Chi è l’autarchico? In filosofia è chi basta a se stesso, chi è indipendente da tutto e da tutti annullando qualsiasi passione. Chi è Carmelo Pino se non un autarchico? Un autarchico del facciounpòcomemipare legittimato dalla solita corte dei miracoli più qualche clamorosa new entry.
Milazzo doveva andare verso il dissesto e così è stato, perché vendetta si doveva compiere. Sin dal primo giorno del suo insediamento, il sindaco ha portato avanti lo scaricabarile di chi vuole scrollarsi di dosso responsabilità non sue. Legittimo, ma fino a un certo punto. Un buon amministratore, degno di questo nome, dovrebbe si prendere atto della situazione economica disastrosa in cui versa il proprio comune ma non può permettere che la nave affondi. Beh, Pino ha voluto questo e l’ha voluto insieme a suo fratello, i fidi Caravello e Romagnolo e la sua squadra di assessori. Sono tutti responsabili di non aver voluto cambiare rotta, di non aver voluto salvare il salvabile. Di avere perseguito una strategia tesa a innalzare il loro operato come superiore e inoppugnabile, quasi fossero i castigatori degli antichi sprechi. Non si può governare una città ergendosi come “l’uomo solo al comando”. Non si può e non si deve.
Non si può dichiarare che senza consiglio la città rinascerà. E’ incredibile come Pino, con i suoi comportamenti palesemente irrispettosi, sia riuscito nel tentativo di far passare come vittime molti dei principali responsabili tra i consiglieri, dei disastri economici, morali e culturali di questa città. Sia ben chiaro l’ei fu consiglio comunale animato da figure squallide, para-mafiose e massoniche ha le sue responsabilità, ma quando Pino ha deciso di estirparlo a colpi di sentenze, la maschera è caduta. E l’ultima dichiarazione ce lo dimostra. Questa non è l’idea di politica in cui ci riconosciamo e constatiamo senza tante sorprese l’assuefazione dei milazzesi a questa pseudo-investitura divina. Il sindaco di Milazzo resta in sella perché paradossalmente, non ci sono controparti. Nonostante la caduta di Genovese (padrino politico di questa amministrazione), Pino al momento ha fatto il vuoto intorno a se. E’ una politica di palazzo fatta di accordi tra pochi individui che non ascoltano la città e agiscono nella quasi totale indifferenza al fine di attuare i loro disegni premeditati. E quindi forse i milazzesi, amaramente, si meritano di essere rappresentati da un loro fac-simile.

Cronaca di un linciaggio annunciato – il manifesto

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«Pren­derli ammaz­zarli e sot­ter­rarli. L’unica solu­zione!!! Tanto sono inu­tili e non ser­vono a un cazzo!!! Come ‘sti quat­tro comu­ni­sti che girano per di qua», «Se la mat­tina tro­ve­rete la vostra casa o la vostra atti­vità sva­li­giata e saranno spa­riti i vostri beni più cari, credo che di com­pren­sione per que­sta razza di pseu­dou­mani, sarà scesa di molto. Ma nes­suno si domanda come fanno a vivere que­sta gente, rubano e spac­ciano, per­ché sanno benis­simo che le nostre leggi li tute­lano. Sve­glia­tevi gente«.

QUI IL REPORTAGE INTEGRALE

Milazzo, perchè si rapina a 15 anni

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“Milazzo, a 15 anni già accusato di tre rapine” titola Oggimilazzo parlando del “rapinatore seriale milazzese”.
Facciamo finta che l'articolo non sia finalizzato a gettare fango su questa persona e fingiamo anche che non sia l'ennesima notiziuola di pettegolezzo scritta solo per alimentare le chiacchiere dei cortili: 
usiamo la notizia come spunto per trattare una tematica locale ma allo stesso tempo globale, quella della cosiddetta “microcriminalità” e, contestualmente, degli spazi sociali.

E' facile, dopo ripetute rapine, puntare il dito e tacciare di “criminale” un ragazzino di 15 anni che anziché giocare a pallone rapina negozi. Partendo dal presupposto che nessuno è “criminale”, quello che bisogna domandarsi prima di giudicare, è il perché questo accade.
L'articolo dice chiaramente che il giovanotto viene dalle case popolari. 
Queste, sebbene dovrebbero essere un sussidio per le famiglie indigenti, sono posizionate in modo del tutto decentrato rispetto al resto della città favorendo, al contrario, l' emarginazione e l'esclusione da
contesti sociali attivi. A causa della distanza, chi abita nelle case popolari difficilmente può raggiungere il centro di Milazzo.
I ragazzi spendono il loro tempo nei cortili tra un palazzo e l'altro, giocando in strada e condividendo idee e formamentis culturale. Accade 
anche che, per ragioni diverse, molta gente che abita alcune zone popolari ha avuto esperienza di carcere e, se si vive in contesti ristretti e isolati, è facile che condividendo le proprie idee queste diventino un esempio per i più piccoli, i quali cresceranno con valori e modelli che nel tempo porteranno anche loro ad avere problemi.
Nel caso di Milazzo, come di moltissimi altri luoghi, la causa di questo fenomeno è il vasto strato di povertà che dovrebbe godere di maggiori aiuti economici, ma anche la struttura del tessuto urbano che anziché contribuire all'integrazione delle frange più disagiate, le isola. Chi è relegato ai confini della città e vive quotidianamente il senso di esclusione accompagnato dall'assenza di sussidio per arrivare a fine mese, non si sente parte della società e di conseguenza sarà portato ad infrangerne le regole.
I singoli individui non hanno colpa né del loro isolamento né del loro status economico ma vivono ogni giorno l'abbandono da parte di quelle istituzioni che sono le vere colpevoli e che con il loro operare 
generano guerre tra poveri.
A fare attività sociali nelle periferie milazzesi, forse, c'è solo
qualche oratorio. Il carattere educativo della scuola si perde quando insegnanti e professori si rendonoconto della difficoltà che alcuni casi comportano e non trovando nelle famiglie dei punti di riferimento, mettono da parte e proseguono i loro programmi con chi “sta al passo”.
La città manca di centri di aggregazioni, ovvero luoghi autofinanziati, che non comportino dispendio di denaro e che permettano ai giovani di ritrovarsi e condividere idee diverse ma anche ritrovarsi in attività di carattere ricreativo-culturale che permettanolo sviluppo della coscienza critica del vivere civile e sociale.
E' dimostrato infatti, che le città in cui gli spazisociali sono in numero maggiore e lavorano in e per quartieri disagiati, riducono la criminalità giovanile operando anche un lavoro a lungo termine: i bambini che fin da piccoli vengono sottratti alla strada e al percorso verso la criminalità a cui questa induce, crescono con dei valori sociali più radicati che condizionano anche la loro vita da adulti.
Le periferie non devono essere "altro" dal centro, così come non si deve emarginare e condannare chi cresce in ambienti in cui si esiste inquanto si "delinque". Gli spazi abbandonati siano utilizzati per concepire una cultura aggregativa e non indifferente e discriminatoria.