Contro l’uso pubblico dell’antimafia

contro tutte le mafie

Cosa succede quando degli ex (?) genovesiani, mastelliani, berlusconiani ecc ecc si incontrano per commemorare Falcone? Si gira un bello spot in cui della gente parla, senza sapere quello che dice, introdotto dall’ “intellettuale” di coorte che dispensa arroganza ogni volta che apre bocca. L’unico che ha i titoli per parlare, Giuseppe Campione, viene “usato” per rinfrescare la facciata. Sia ben chiaro: nessuno di questi è mafioso, ma al sindaco Pino e all’assessore Scolaro non viene vergogna di aver servito Genovese e Lombardo? L’opportunismo politico al servizio di personaggi poco raccomandabili permette, al sindaco e al suo assessore, di poter parlare di antimafia? Si sa, quando si ricopre un incarico istituzionale, a un anno dalle elezioni, occorre un restyling di quello che si è stati. Ma non è così semplice. La finzione di certi comportamenti pubblici non riesce a nascondere le trame di un politica milazzese pronta ad accordarsi con chiunque pur di ottenere consenso. Lo scenario è desolante e iniziative come questa fanno inorridire se si pensa che a parlare è gente passata per Dell’Utri, Lombardo, Nania, Genovese, Mastella e tanti altri ancora. La politica dei sorrisi da cerimonia ci disgusta e il passato di questi trasformisti non si può dimenticare.

Io sono un autarchico. Ovvero come imparai a vendicarmi infischiandomene dei milazzesi tutti.

comune di milazzo

Chi è l’autarchico? In filosofia è chi basta a se stesso, chi è indipendente da tutto e da tutti annullando qualsiasi passione. Chi è Carmelo Pino se non un autarchico? Un autarchico del facciounpòcomemipare legittimato dalla solita corte dei miracoli più qualche clamorosa new entry.
Milazzo doveva andare verso il dissesto e così è stato, perché vendetta si doveva compiere. Sin dal primo giorno del suo insediamento, il sindaco ha portato avanti lo scaricabarile di chi vuole scrollarsi di dosso responsabilità non sue. Legittimo, ma fino a un certo punto. Un buon amministratore, degno di questo nome, dovrebbe si prendere atto della situazione economica disastrosa in cui versa il proprio comune ma non può permettere che la nave affondi. Beh, Pino ha voluto questo e l’ha voluto insieme a suo fratello, i fidi Caravello e Romagnolo e la sua squadra di assessori. Sono tutti responsabili di non aver voluto cambiare rotta, di non aver voluto salvare il salvabile. Di avere perseguito una strategia tesa a innalzare il loro operato come superiore e inoppugnabile, quasi fossero i castigatori degli antichi sprechi. Non si può governare una città ergendosi come “l’uomo solo al comando”. Non si può e non si deve.
Non si può dichiarare che senza consiglio la città rinascerà. E’ incredibile come Pino, con i suoi comportamenti palesemente irrispettosi, sia riuscito nel tentativo di far passare come vittime molti dei principali responsabili tra i consiglieri, dei disastri economici, morali e culturali di questa città. Sia ben chiaro l’ei fu consiglio comunale animato da figure squallide, para-mafiose e massoniche ha le sue responsabilità, ma quando Pino ha deciso di estirparlo a colpi di sentenze, la maschera è caduta. E l’ultima dichiarazione ce lo dimostra. Questa non è l’idea di politica in cui ci riconosciamo e constatiamo senza tante sorprese l’assuefazione dei milazzesi a questa pseudo-investitura divina. Il sindaco di Milazzo resta in sella perché paradossalmente, non ci sono controparti. Nonostante la caduta di Genovese (padrino politico di questa amministrazione), Pino al momento ha fatto il vuoto intorno a se. E’ una politica di palazzo fatta di accordi tra pochi individui che non ascoltano la città e agiscono nella quasi totale indifferenza al fine di attuare i loro disegni premeditati. E quindi forse i milazzesi, amaramente, si meritano di essere rappresentati da un loro fac-simile.

Cronaca di un linciaggio annunciato – il manifesto

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«Pren­derli ammaz­zarli e sot­ter­rarli. L’unica solu­zione!!! Tanto sono inu­tili e non ser­vono a un cazzo!!! Come ‘sti quat­tro comu­ni­sti che girano per di qua», «Se la mat­tina tro­ve­rete la vostra casa o la vostra atti­vità sva­li­giata e saranno spa­riti i vostri beni più cari, credo che di com­pren­sione per que­sta razza di pseu­dou­mani, sarà scesa di molto. Ma nes­suno si domanda come fanno a vivere que­sta gente, rubano e spac­ciano, per­ché sanno benis­simo che le nostre leggi li tute­lano. Sve­glia­tevi gente«.

QUI IL REPORTAGE INTEGRALE

Milazzo, perchè si rapina a 15 anni

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“Milazzo, a 15 anni già accusato di tre rapine” titola Oggimilazzo parlando del “rapinatore seriale milazzese”.
Facciamo finta che l'articolo non sia finalizzato a gettare fango su questa persona e fingiamo anche che non sia l'ennesima notiziuola di pettegolezzo scritta solo per alimentare le chiacchiere dei cortili: 
usiamo la notizia come spunto per trattare una tematica locale ma allo stesso tempo globale, quella della cosiddetta “microcriminalità” e, contestualmente, degli spazi sociali.

E' facile, dopo ripetute rapine, puntare il dito e tacciare di “criminale” un ragazzino di 15 anni che anziché giocare a pallone rapina negozi. Partendo dal presupposto che nessuno è “criminale”, quello che bisogna domandarsi prima di giudicare, è il perché questo accade.
L'articolo dice chiaramente che il giovanotto viene dalle case popolari. 
Queste, sebbene dovrebbero essere un sussidio per le famiglie indigenti, sono posizionate in modo del tutto decentrato rispetto al resto della città favorendo, al contrario, l' emarginazione e l'esclusione da
contesti sociali attivi. A causa della distanza, chi abita nelle case popolari difficilmente può raggiungere il centro di Milazzo.
I ragazzi spendono il loro tempo nei cortili tra un palazzo e l'altro, giocando in strada e condividendo idee e formamentis culturale. Accade 
anche che, per ragioni diverse, molta gente che abita alcune zone popolari ha avuto esperienza di carcere e, se si vive in contesti ristretti e isolati, è facile che condividendo le proprie idee queste diventino un esempio per i più piccoli, i quali cresceranno con valori e modelli che nel tempo porteranno anche loro ad avere problemi.
Nel caso di Milazzo, come di moltissimi altri luoghi, la causa di questo fenomeno è il vasto strato di povertà che dovrebbe godere di maggiori aiuti economici, ma anche la struttura del tessuto urbano che anziché contribuire all'integrazione delle frange più disagiate, le isola. Chi è relegato ai confini della città e vive quotidianamente il senso di esclusione accompagnato dall'assenza di sussidio per arrivare a fine mese, non si sente parte della società e di conseguenza sarà portato ad infrangerne le regole.
I singoli individui non hanno colpa né del loro isolamento né del loro status economico ma vivono ogni giorno l'abbandono da parte di quelle istituzioni che sono le vere colpevoli e che con il loro operare 
generano guerre tra poveri.
A fare attività sociali nelle periferie milazzesi, forse, c'è solo
qualche oratorio. Il carattere educativo della scuola si perde quando insegnanti e professori si rendonoconto della difficoltà che alcuni casi comportano e non trovando nelle famiglie dei punti di riferimento, mettono da parte e proseguono i loro programmi con chi “sta al passo”.
La città manca di centri di aggregazioni, ovvero luoghi autofinanziati, che non comportino dispendio di denaro e che permettano ai giovani di ritrovarsi e condividere idee diverse ma anche ritrovarsi in attività di carattere ricreativo-culturale che permettanolo sviluppo della coscienza critica del vivere civile e sociale.
E' dimostrato infatti, che le città in cui gli spazisociali sono in numero maggiore e lavorano in e per quartieri disagiati, riducono la criminalità giovanile operando anche un lavoro a lungo termine: i bambini che fin da piccoli vengono sottratti alla strada e al percorso verso la criminalità a cui questa induce, crescono con dei valori sociali più radicati che condizionano anche la loro vita da adulti.
Le periferie non devono essere "altro" dal centro, così come non si deve emarginare e condannare chi cresce in ambienti in cui si esiste inquanto si "delinque". Gli spazi abbandonati siano utilizzati per concepire una cultura aggregativa e non indifferente e discriminatoria.

TRECENTOMILA EURO IN TELECAMERE

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Il comune di Milazzo (ri)apre un bando da 300.000 euro per l’istallazione di 32 telecamere di videosorveglianza. Questa notizia che potrebbe tranquillamente passare in secondo piano, ci sembra invece assolutamente indice del clima di inerzia, connivenza ed ignoranza che sembra respirarsi da sempre nelle putride aule del comune di Milazzo.

 

Iniziamo col domandarci dal dove provengano questi fondi, e quali siano le ragioni per le quali, improvvisamente, un comune in dissesto abbia liquidità per finanziare un simile progetto. E’ un bando che deriva da una delibera del Ministero degli Interni emanata nell’ambito di un programma denominato “sicurezza per lo sviluppo”. Qualcuno si potrebbe domandare cosa abbiano in comune lo sviluppo a Milazzo (?!) con l’apposizione di 32 telecamere. Inoltre, qualcuno potrebbe anche darsi delle risposte alla fatidica domanda: come vengono spesi i soldi che paghiamo in tasse? Ecco, se pensiamo che questo “progetto” è datato 2007-2013, e che al nostro comune andranno(??) nel 2014 trecentomila euro, possiamo immaginare quanto i nostri governi abbiano speso, negli ultimi sette anni, in telecamere di videosorveglianza. Per abbozzare un calcolo basta moltiplicare i soldi del nostro bando per gli abitanti che ci sono in Italia.

Ma davvero c’è un’esigenza sicurezza che ci obbliga a istallare telecamere? O meglio: è proprio necessario spendere miliardi e miliardi di euro (perché a conti fatti di questo parliamo!) per essere più sicuri? O ci sono metodi più efficaci, e l’istallazione di telecamere è solo un’opera fatta un po’ per finanziare i soliti noti, un po’ per fare campagna elettorale?

La vicenda assume i contorni della commedia, riportandola ai ristretti orizzonti del nostro comune. Viviamo in un paese (Milazzo certo, ma è così ovunque) in cui i malviventi, la mafia, si insediano da sempre nei luoghi più influenti e cruciali da cui passa la gestione del denaro pubblico. Naturalmente, anche all’interno delle amministrazioni locali. Le economie mafiose ed i poteri forti (come la RaM) condizionano lo sviluppo dei nostri territori da sempre. Non servirebbe un solo euro, ma basterebbe essere in tanti onesti e intolleranti verso mafie e prepotenze varie, per migliorare di molto le nostre vite e garantirci un diverso sviluppo. Mandare tutti via: solo una simile azione collettiva potrebbe iniziare a renderci più sicuri.

Discorsi che entrano in ovvia contraddizione con le priorità dei governanti di turno: l’unica cosa che s’ha da fare è portare avanti l’industria della “sicurezza”, le industrie belliche, istallarci porcherie come il MUOS nei nostri territori.

E come potremmo accusare le nostre povere, stupide ed avide di potere personale, amministrazioni comunali, di non capire nulla di tutto questo, di essere passive contro le mafie ed i poteri forti, di favorire programmi del cui fine ultimo non sanno assolutamente nulla?? In fondo –quando va bene- loro non sono che gli esecutori materiali di logiche che nemmeno conoscono.

Intanto, trecentomila euro dei nostri soldi, serviranno a costruire telecamere. Che, vi garantiamo, non serviranno assolutamente a nulla, e probabilmente non funzioneranno mai.

 

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Raffineria. Guai a chi ne parla.

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2 Novembre 2004. Una nube tossica fuoriesce dalla raffineria di Milazzo: è la seconda in una settimana. Le vittime sono ancora una volta soprattutto gli studenti del liceo artistico. Finiscono in pronto soccorso in un centinaio, i più gravi vengono ricoverati in ospedale.
Inizia da qui una settimana di manifestazioni e proteste che coinvolge tutta la città. Un enorme corteo spontaneo, formato dagli studenti di tutte le scuole, blocca per una mattina intera la strada che dalla silvanetta da accesso alla raffineria. Ci sono migliaia di persone, si tratta della manifestazione più grossa a Milazzo che la nostra memoria ricordi.

Ed è anche periodo di campagna elettorale. L’allora sindaco uscente Nastasi si spertica in dichiarazioni di solidarietà ai ricoverati e fa promesse di ogni genere. Lo stesso fa il suo sfidante, il carissimo Lorenzo Italiano. E così avviene l’incredibile: la lotta degli studenti ottiene un risultato pratico, una vittoria. Dopo vari cortei, blocchi del traffico, comizi, interviste, articoli della gazzetta del sud a otto colonne, l’amministrazione comunale è costretta ad istallare delle “centraline” che dovranno rilevare i valori dei gas tossici presenti nell’aria.                                                                   Non si tratta di chissà quale vittoria, la montagna ha partorito un topolino. In cambio di un centinaio di intossicati, ecco qualche centralina. Ma dopo anni di omertà assoluta delle istituzioni sul disastro ambientale che vive la nostra città, sembra comunque un piccolo passo in avanti.

Ma le centraline, appena istallate, non funzioneranno mai. E verranno rimosse nel giro di tre mesi: non se ne parlerà mai più.

Il 10 Novembre 2004, quasi come se la giustizia seguisse l’onda dell’opinione pubblica (ma và!), dal tribunale di Barcellona arriva una condanna a quattro dirigenti della raffineria. La sentenza è chiarissima: i DIRIGENTI hanno violato per tre anni, dal 1999 al 2002 (cioè semplicemente gli anni in cui si erano concentrate le indagini), le norme preposte a tutela della salubrità dell’ambiente. Vengono inflitti in totale una dozzina di anni di carcere. Non solo: il tribunale decreta anche il risarcimento dei danni a favore dei cittadini e le associazioni che si sono costituiti parte civile. Ecco un altro fatto abilmente rimosso dalla memoria collettiva.

Da quella frenetica settimana del 2004 l’intervento della politica sull’inquinamento a Milazzo è stato inesistente. Semplicemente (al di fuori della campagna elettorale di tutti, ci mancherebbe!!) non se ne è più parlato. Eppure, da allora, si sono susseguiti una sfilza enorme di studi, interventi, denunce di malati… che a raccogliere tutto si potrebbe completare una bibliografia. Persino, nel 2013, nell’ambito di una delle innumerevoli indagini che sembrano sempre finire nel nulla, sono stati sequestrati dalla Capitaneria di porto interi impianti della raffineria. Nel mare di vaccarella e levante, secondo il tribunale, erano finiti “61 mila metri cubi di idrocarburi”, mentre i dirigenti “non attivavano le procedure necessarie a evitare lo sversamento”.

Dal 2004 ad oggi, al contrario, la raffineria ha ritenuto molto utile di comprare il consenso della gente (oltre ovviamente quello incondizionato che nutre dalla maggioranza dei suoi dipendenti). Ha distribuito denaro a destra e a manca: realizzato parchi giochi, illuminato lo stadio, sponsorizzato innumerevoli manifestazioni sportive, patrocinato eventi e giornate di ogni genere e natura.

Adesso, però, siamo nuovamente in campagna elettorale. E così, il sindaco Pino e la sua giunta di assessori, lanciano qualche segnale di propaganda. Si aprono “tavoli” e  si annunciano nuovi “tavoli”. Sebbene questi attori abbiano dimostrato di infischiarsene apertamente dell’ambiente al pari dei loro predecessori, le veline di oggi-milazzo sono comunque pronte a raccogliere ogni “notizia” con un copia-incolla. Ed ecco che un problema classificato dai tribunali come “disastro ambientale” venga trattato dai tavoli della giunta Pino con la dicitura di “odori molesti”. Eh già, è solo un problema di odori molesti.

Come tutti gli annunci di qualsivoglia politico, sappiamo che anche stavolta finirà tutto in un nulla di fatto. Ma se dalla storia vogliamo trarre un insegnamento, non abbiamo molte alternative: solo lottando in prima persona, solo creando un terreno di confronto fra i cittadini al di fuori delle putride aule del comune, potremo ottenere qualche risultato. Ne va del futuro nostro e della nostra città.

 

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