Pubblichiamo per intero un contributo di “Officina Rebelde” a proposito della raffineria di Gela. Drammatiche le similitudini con il nostro territorio. Si evidenzia l’insufficienza (o strumentalità) delle campagne politiche basate esclusivamente sul concetto di “azione risarcitoria”, come la necessità di una vera presa di coscienza collettiva riguardo dei mostri che rovinano salute e ogni possibilità altra di sviluppo del territorio, sotto lo spettro del solito ricatto occupazionale.
Gela: si tiene il primo incontro per promuovere azioni risarcitorie nei confronti dell’Eni sulla base del principio della “paura di ammalarsi”. Di seguito il report della giornata fatto da Andrea Turco.
Sabato 1° febbraio si è tenuto presso il museo archeologico di Gela un incontro promosso dalla neonata associazione Green antinquinamento, che intende promuovere azioni risarcitorie nei confronti dell’Eni attraverso lo strumento della causa in sede civile. La novità sta nel fatto che, sull’esempio di quanto avviato dal comitato di Milazzo denominato Aria pulita, si chiede un risarcimento morale ed esistenziale, oltre che patrimoniale e biologico. Per la prima volta in pratica le emissioni inquinanti non dovranno essere dimostrate tramite l’accertamento del nesso causale, o per meglio dire non si dovrà essere necessariamente malati per portare il colosso industriale in tribunale.
All’affollata conferenza erano tutti concordi nel sostenere che solo così si può ribaltare il ricatto occupazionale che da tempo grava sulla città e allo stesso tempo superare quella sorta di sudditanza, psicologica in primis, che la popolazione prova nei confronti di una sempre più acciaccata “mamma Raffineria”.
Su questa linea si sono incentrati gli interventi dell’avv. Antonio Giardina, del foro di Milazzo e precursore di questa pratica, e del giovane avv. Antonella Barbera, che ha elencato i singoli casi per cui si può ravvisare il cosiddetto principio della paura di ammalarsi con la possibilità appunto di ricorrere in sede civile. Più di ampio discorso i discorsi di Giuseppe Marano, ex consigliere in quota Verdi nel comune di Milazzo, e di Silvana Giglione, facente parte del comitato di cittadini (sempre di Milazzo) Aria pulita.
Molto ricco, infine, il dibattito successivo. Hanno detto la propria numerosi attivisti gelesi tra i quali Pietro Lorefice, di Legambiente, Valentina Cassarino del comitato Bonifichiamoci (che merita una storia a parte e che racconterò un’altra volta), per finire col pediatra Antonio Rinciani, che da sempre si occupa di assistenza ai numerosi casini di bambini malformati, e col vulcanico Saverio Di Blasi, fondatore dell’associazione Italia Nostra ed autore di numerose denunce nei confronti dei dirigenti dello stabilimento.
Fin qui la mera cronaca, è il caso di passare alle valutazioni politiche.
Chi dice che “in fondo siamo sempre le stesse facce” non s’accorge delle conseguenze di ciò che sembrerebbe una semplice attestazione, ed invece è il principale limite dell’iniziativa.
In fondo la proposta dell’imprenditore David Melfa, presidente dell’associazione Green Antinquinamento, si colloca nel solco delle centinaia e centinaia di iniziative simili promosse da 20 anni a questa parte. Ciascuna con la sua particolarità, certo: la richiesta finora disattesa di un registro tumori, il potenziamento dell’ospedale, gli esposti in procura, l’esigenza di un reparto di radioterapia recentemente inaugurato con un vergognoso ritardo di anni, eccetera eccetera … però con la caratteristica comune di accettazione dell’esistente. Nessuna proposta, e neanche l’azione risarcitoria nei confronti dell’Eni, alza di un millimetro l’asticella del conflitto. Una parola che sembra bandita dagli abitanti della città del golfo.
Qui negli ultimi tempi si è formato un pulviscolo di associazioni, gruppi e comitati (lo si sarà potuto notare dal parziale elenco scritto sopra) che “lotta” e che pretende diritti. Sempre però esclusivamente dal punto di vista ambientale e sanitario.
Senza mai riuscire a coinvolgere i veri protagonisti, quegli operai che della Raffineria non solo subiscono più di tutti le devastanti conseguenze in termini di malattie ma anche nel vissuto quotidiano: sotto forma di contratti lavorativi in deroga al nazionale, ammortizzatori sociali che durano anni e senza turnazione, metodi di lavoro da caporalato. Un solo esempio per tutti: ogni mattina operai con regolare contratto si presentano ai cancelli e solo lì scoprono se lavoreranno o meno, altrimenti vengono rimandati a casa e costretti a “mettersi in ferie”.
La sudditanza psicologica esercitata dalla Raffineria di Gela sui cittadini è nel caso degli operai in primis sudditanza economica. Da qui la necessità di ribaltare i rapporti di forza. Ecco perché l’azione risarcitoria acquista un senso se a portarla avanti sono centinaia e centinaia di operai. Perché andrebbe ad incidere sull’unico argomento che sta a cuore ai signori dell’industria. Con parecchio denaro che, è proprio il caso di dirlo, andrebbe in fumo.