STORIE DI STRAGI, RESISTENZA E ANTIFASCISMO. DA “L’ITALIA CANTATA DAL BASSO” COPPOLA ED

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Memoria di aprile

Da L’Italia cantata dal basso” di Pietro Orsatti – Coppola editore

Le valli di Comacchio immerse nella nebbia. Non è difficile immaginarsela così la mattina del 25 aprile 1945. Anche perché in qualche archivio dell’Anpi c’è un vecchio filmato sgranato che mostra una barca sul fiume carica di partigiani. Pochi fotogrammi ripresi proprio quella mattina. Sullo sfondo, appena visibile nella nebbia, un canneto. A pochi chilometri Ferrara. Ma a quei tempi pochi chilometri rappresentavano una barriera quasi insormontabile, un mondo intero.

A Ferrara, mi raccontavano i miei fin da bambino, arrivarono gli inglesi. I partigiani, apparentemente, si fecero da parte. Le cose andavano così a quei tempi. Quelli che si erano liberati da sé che si facevano indietro davanti ai liberatori stranieri. Poche settimane prima c’era stata la rotta. Sul Po la strage dei tedeschi in fuga. Non c’erano più ponti per passare il fiume in piena. E i soldati si erano buttati nel fiume affidandosi a qualsiasi zattera improbabile, a qualsiasi oggetto galleggiante raccattato durante la fuga. Il fiume non ebbe pietà. Per giorno e giorni affiorarono cadaveri trascinati dalle acque. Le cose andavano così in quell’aprile 1945.

Quando arrivarono a Ferrara gli inglesi, di tedeschi non c’era ombra. Da settimane. Ma la liberarono lo stesso.

Da qualche parte ho visto una copia di uno dei giornali clandestini dell’epoca. Si chiamava “La Scintilla”, lo stampavano in qualche casale sperduto in campagna o in qualche cantina mezza allagata nella città occupata. Era più importante quel pezzo di carta ingiallito di un cannone per la resistenza al nazifascismo. C’è stata tanta gente che è morta per far circolare quel giornale, embrione di una libertà di stampa cancellata da decenni. Ci dedicarono un intero articolo della Costituzione a quella libertà negata, poi, e non fu per caso.

Durante tutto il ventennio fascista, Ferrara fu una città spaccata in due. Da un lato la borghesia urbanizzata, i proprietari terrieri e i latifondisti che aderivano al fascismo. Un fascismo che aveva a Ferrara la faccia di Starace e di Italo Balbo. Dall’altra invece i contadini, i mezzadri e i braccianti e i pochi operai che producevano la ricchezza del territorio. In mezzo la Chiesa, che contemporaneamente benediva la povertà delle campagne e sosteneva lo status quo dei latifondisti.

I socialisti, gli anarchici, i pochi comunisti erano quasi tutti operai agrari, braccianti, stritolati dai fitti e dalla decima del latifondo. Contadini che oltre a subire lo sfruttamento del latifondismo locale, per decenni furono l’obiettivo dei raid delle camicie nere. A suon di bastonate, olio di ricino, incendi e troppo spesso revolverate.

L’azione dello squadrismo agrario nelle campagne, tesa a scompaginare le organizzazioni socialiste, viene accompagnata da una riaggregazione, più o meno coatta, dei lavoratori della terra nelle organizzazioni sindacali fasciste. Massimo artefice di questo disegno Gino Baroncini, eletto segretario della federazione provinciale fascista nel giugno 1921, e sostenuto da Dino Grandi, in contrapposizione ad Arpinati, fortemente contrario alla creazione di sindacati fascisti. Lo scontro fra le due correnti del fascismo è destinato a rinfocolarsi durante la strenua opposizione che i fasci emiliano-romagnoli, sotto la guida di Baroncini e Grandi e con l’avvallo di Balbo, faranno alla applicazione del «patto di pacificazione» coi socialisti firmato da Mussolini nell’agosto 1921. Il dissidio politico porta a una temporanea emarginazione dello stesso Arpinati, favorevole alla linea di Mussolini: avendo egli rinunciato alla carica di segretario del Fascio nel giugno 1921 per dissenso verso la linea politica maggioritaria, viene addirittura escluso dal nuovo direttore nel dicembre dello stesso anno”.

[Fascismo e antifascismo nella Valle padana – Clueb editore]

A complicare il quadro una delle più antiche e fiorenti comunità ebraiche d’Italia. Una comunità perfettamente integrata nella borghesia commerciale della città e che nella fase iniziale del fascismo l’aveva in gran parte anche sostenuto per poi vedere crollare ogni residua illusione con la promulgazione delle leggi razziali. Lo capirono perfettamente, definitivamente, il 21 settembre del 1941 quando le squadre fasciste assaltarono la sinagoga in pieno centro cittadino. Il primo caso del genere in Italia.

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Milazzo è una città antifascista

Sabato 13 aprile, passeggiando per la via Giacomo Medici, potreste imbattervi in un gruppetto di fascistelli 2.0 che vi omaggiano del loro foglio informativo dal titolo “InformAzione”. Potete farne ciò che volete: strapparlo, evitare la mano che ve lo porge, o altrimenti fare entrambe le cose e ribadire a questi ragazzetti che MILAZZO E’ UNA CITTà ANTIFASCISTA.
Non lasciate spazio, nei giornali , nei luoghi pubblici, a chi vuole mischiarsi con un concetto di Sociale che niente ha a che vedere con il significato etimologico del termine. Questi signorini sono foraggiati da personaggi che hanno fatto e fanno il male della nostra città, della nostra regione, del nostro paese: Lorenzo Italiano, Domenico Nania, Saro Pergolizzi, Nello Musumeci,Santi Formica e Peppino Buzzanca, Giorgia Meloni, Ignazio La Russa, giusto per fare qualche nome. Tutta gente legata a una rivergination antifascista solo a chiacchiere e asservita a biechi interessi di poltrona. Il fascismo non è finito: è continuato in questi anni nelle aule istituzionali mascherato da quell’aura repubblicana che mai gli è appartenuta e mai gli apparterrà.
Diffidate da chi si fa tenere a guinzaglio da fanatismi stupidi ed estemporanei.