Una foto di Tano D’Amico, anno 1974. Sgombero di case occupate nel quartiere San Basilio a Roma, una donna incinta portata via da due poliziotti. Quarant’anni e ti ritrovi davanti uno scatto che sembra storia di oggi. Anzi, è oggi.
Un giorno triste così felice. Sócrates, viaggio nella vita di un rivoluzionario – recensione da minimaetmoralia.it
Ai dirigenti del Botafogo, che gli proposero il primo contratto professionistico, rispose senza tentennamenti: «Voglio diventare un medico, e fare la mia parte per un Brasile democratico». Lo stipendio era funzionale al pagamento dell’università, e si laureò. Quel ragazzino, alto e magro, illuminava il gioco del calcio, che era una questione di ribellione, allegria, passione e fratellanza. Il gioco degli inglesi reinventato come attività artistica. Disegnava, con il pensiero e poi con il piede, traiettorie inimmaginabili per gli altri; dotato di un’intelligenza e una coscienza critica fuori dal comune. Leggeva, e amava, i grandi pensatori e filosofi greci quanto le opere di Jorge Amado e Gabriel Garcia Marquez. «Dovrebbe giocare di schiena con quel tacco che ha», sosteneva Pelé. Lui: «Colpivo la palla di tacco per farvi innamorare, mai un colpo inutile perché la bellezza è un bene necessario».
Paolo Pasi: HO UCCISO UN PRINCIPIO – recensione da Carmillaonline.com
(…) In realtà il gesto di Gaetano Bresci fu molto di più di un attentato. Fu un atto di giustizia individuale ma di fatto collettivo, la punizione storica del Re Mitraglia. Reo di avere premiato i massacratori di centinaia di proletari, nel ’98 milanese ma anche nel resto della penisola. Un incoraggiamento del sovrano a proseguire sulla stessa strada. Come si fece, in effetti. Gli eccidi di povera gente, nel primo decennio del ventesimo secolo, furono innumerevoli. Massacrati a grappoli, per essersi ribellati alla fame, per avere lanciato sassi contro chi impugnava fucili. Bersaglio principale il Meridione, dove le masse erano meno organizzate e più indifese. (…)
Prove di militarizzazione, la nuova realtà del neofascismo – il manifesto
Più che manifestazioni, sfilate di tipo paramilitare con i partecipanti disposti non per file, ma incolonnati e in movimento al passo dei tamburi. Nessuno ai lati. Tutti in divisa: magliette o felpe nere, pantaloni dello stesso colore, anfibi ai piedi. Moltissime le fiaccole. Davanti, ad aprire il corteo, un nugolo di bandiere con la croce celtica. Così la manifestazione neofascista di Milano lo scorso 29 aprile, presenti tutte le sigle dell’estrema destra, organizzata per commemorare oltre ai caduti missini degli anni Settanta, Sergio Ramelli ed Enrico Pedenovi, Carlo Borsani, un gerarca fascista, firmatario del Manifesto sulla razza, nonché collaboratore dei nazisti, fucilato dai partigiani alla liberazione della città.
Di che cosa parliamo quando parliamo di Expo 2015 – Carmillaonline.com
L’azionariato di EXPO 2015 spa è così composto: 40% Ministero dell’Economia, 20 % Regione Lombardia, 20% Comune Milano, 10% Provincia di Milano e 10% Camera di Commercio Industria Agricoltura e Artigianato. Parliamo dunque di una Spa interamente partecipata dal enti pubblici: roba nostra.
Io sono un autarchico. Ovvero come imparai a vendicarmi infischiandomene dei milazzesi tutti.
Chi è l’autarchico? In filosofia è chi basta a se stesso, chi è indipendente da tutto e da tutti annullando qualsiasi passione. Chi è Carmelo Pino se non un autarchico? Un autarchico del facciounpòcomemipare legittimato dalla solita corte dei miracoli più qualche clamorosa new entry.
Milazzo doveva andare verso il dissesto e così è stato, perché vendetta si doveva compiere. Sin dal primo giorno del suo insediamento, il sindaco ha portato avanti lo scaricabarile di chi vuole scrollarsi di dosso responsabilità non sue. Legittimo, ma fino a un certo punto. Un buon amministratore, degno di questo nome, dovrebbe si prendere atto della situazione economica disastrosa in cui versa il proprio comune ma non può permettere che la nave affondi. Beh, Pino ha voluto questo e l’ha voluto insieme a suo fratello, i fidi Caravello e Romagnolo e la sua squadra di assessori. Sono tutti responsabili di non aver voluto cambiare rotta, di non aver voluto salvare il salvabile. Di avere perseguito una strategia tesa a innalzare il loro operato come superiore e inoppugnabile, quasi fossero i castigatori degli antichi sprechi. Non si può governare una città ergendosi come “l’uomo solo al comando”. Non si può e non si deve.
Non si può dichiarare che senza consiglio la città rinascerà. E’ incredibile come Pino, con i suoi comportamenti palesemente irrispettosi, sia riuscito nel tentativo di far passare come vittime molti dei principali responsabili tra i consiglieri, dei disastri economici, morali e culturali di questa città. Sia ben chiaro l’ei fu consiglio comunale animato da figure squallide, para-mafiose e massoniche ha le sue responsabilità, ma quando Pino ha deciso di estirparlo a colpi di sentenze, la maschera è caduta. E l’ultima dichiarazione ce lo dimostra. Questa non è l’idea di politica in cui ci riconosciamo e constatiamo senza tante sorprese l’assuefazione dei milazzesi a questa pseudo-investitura divina. Il sindaco di Milazzo resta in sella perché paradossalmente, non ci sono controparti. Nonostante la caduta di Genovese (padrino politico di questa amministrazione), Pino al momento ha fatto il vuoto intorno a se. E’ una politica di palazzo fatta di accordi tra pochi individui che non ascoltano la città e agiscono nella quasi totale indifferenza al fine di attuare i loro disegni premeditati. E quindi forse i milazzesi, amaramente, si meritano di essere rappresentati da un loro fac-simile.
Cronaca di un linciaggio annunciato – il manifesto
«Prenderli ammazzarli e sotterrarli. L’unica soluzione!!! Tanto sono inutili e non servono a un cazzo!!! Come ‘sti quattro comunisti che girano per di qua», «Se la mattina troverete la vostra casa o la vostra attività svaligiata e saranno spariti i vostri beni più cari, credo che di comprensione per questa razza di pseudoumani, sarà scesa di molto. Ma nessuno si domanda come fanno a vivere questa gente, rubano e spacciano, perché sanno benissimo che le nostre leggi li tutelano. Svegliatevi gente«.
La Palestina e la commemorazione della Resistenza – ilFattoQuotidiano
(…) il diritto di dissentire ed esprimere opinioni diverse non comporta certo quello di aggredire fisicamente chi porta una kefiah o agita una bandiera palestinese. Cosa purtroppo avvenuta il 25 aprile a Roma durante la manifestazione commemorativa della Resistenza. Quando il servizio d’ordine organizzato di un settore della comunità ebraica si è arrogato il potere di decidere chi poteva manifestare e chi no, sanzionando in qualche caso questi ultimi con una breve ma intensa razione di cazzotti. (…)
STORIE DI STRAGI, RESISTENZA E ANTIFASCISMO. DA “L’ITALIA CANTATA DAL BASSO” COPPOLA ED
Memoria di aprile
Da L’Italia cantata dal basso” di Pietro Orsatti – Coppola editore
Le valli di Comacchio immerse nella nebbia. Non è difficile immaginarsela così la mattina del 25 aprile 1945. Anche perché in qualche archivio dell’Anpi c’è un vecchio filmato sgranato che mostra una barca sul fiume carica di partigiani. Pochi fotogrammi ripresi proprio quella mattina. Sullo sfondo, appena visibile nella nebbia, un canneto. A pochi chilometri Ferrara. Ma a quei tempi pochi chilometri rappresentavano una barriera quasi insormontabile, un mondo intero.
A Ferrara, mi raccontavano i miei fin da bambino, arrivarono gli inglesi. I partigiani, apparentemente, si fecero da parte. Le cose andavano così a quei tempi. Quelli che si erano liberati da sé che si facevano indietro davanti ai liberatori stranieri. Poche settimane prima c’era stata la rotta. Sul Po la strage dei tedeschi in fuga. Non c’erano più ponti per passare il fiume in piena. E i soldati si erano buttati nel fiume affidandosi a qualsiasi zattera improbabile, a qualsiasi oggetto galleggiante raccattato durante la fuga. Il fiume non ebbe pietà. Per giorno e giorni affiorarono cadaveri trascinati dalle acque. Le cose andavano così in quell’aprile 1945.
Quando arrivarono a Ferrara gli inglesi, di tedeschi non c’era ombra. Da settimane. Ma la liberarono lo stesso.
Da qualche parte ho visto una copia di uno dei giornali clandestini dell’epoca. Si chiamava “La Scintilla”, lo stampavano in qualche casale sperduto in campagna o in qualche cantina mezza allagata nella città occupata. Era più importante quel pezzo di carta ingiallito di un cannone per la resistenza al nazifascismo. C’è stata tanta gente che è morta per far circolare quel giornale, embrione di una libertà di stampa cancellata da decenni. Ci dedicarono un intero articolo della Costituzione a quella libertà negata, poi, e non fu per caso.
Durante tutto il ventennio fascista, Ferrara fu una città spaccata in due. Da un lato la borghesia urbanizzata, i proprietari terrieri e i latifondisti che aderivano al fascismo. Un fascismo che aveva a Ferrara la faccia di Starace e di Italo Balbo. Dall’altra invece i contadini, i mezzadri e i braccianti e i pochi operai che producevano la ricchezza del territorio. In mezzo la Chiesa, che contemporaneamente benediva la povertà delle campagne e sosteneva lo status quo dei latifondisti.
I socialisti, gli anarchici, i pochi comunisti erano quasi tutti operai agrari, braccianti, stritolati dai fitti e dalla decima del latifondo. Contadini che oltre a subire lo sfruttamento del latifondismo locale, per decenni furono l’obiettivo dei raid delle camicie nere. A suon di bastonate, olio di ricino, incendi e troppo spesso revolverate.
“L’azione dello squadrismo agrario nelle campagne, tesa a scompaginare le organizzazioni socialiste, viene accompagnata da una riaggregazione, più o meno coatta, dei lavoratori della terra nelle organizzazioni sindacali fasciste. Massimo artefice di questo disegno Gino Baroncini, eletto segretario della federazione provinciale fascista nel giugno 1921, e sostenuto da Dino Grandi, in contrapposizione ad Arpinati, fortemente contrario alla creazione di sindacati fascisti. Lo scontro fra le due correnti del fascismo è destinato a rinfocolarsi durante la strenua opposizione che i fasci emiliano-romagnoli, sotto la guida di Baroncini e Grandi e con l’avvallo di Balbo, faranno alla applicazione del «patto di pacificazione» coi socialisti firmato da Mussolini nell’agosto 1921. Il dissidio politico porta a una temporanea emarginazione dello stesso Arpinati, favorevole alla linea di Mussolini: avendo egli rinunciato alla carica di segretario del Fascio nel giugno 1921 per dissenso verso la linea politica maggioritaria, viene addirittura escluso dal nuovo direttore nel dicembre dello stesso anno”.
[Fascismo e antifascismo nella Valle padana – Clueb editore]
A complicare il quadro una delle più antiche e fiorenti comunità ebraiche d’Italia. Una comunità perfettamente integrata nella borghesia commerciale della città e che nella fase iniziale del fascismo l’aveva in gran parte anche sostenuto per poi vedere crollare ogni residua illusione con la promulgazione delle leggi razziali. Lo capirono perfettamente, definitivamente, il 21 settembre del 1941 quando le squadre fasciste assaltarono la sinagoga in pieno centro cittadino. Il primo caso del genere in Italia.
I DANNATI DELLA METROPOLI. Recensione da Carmillaonline.com
Andrea Staid ritorna con un’opera che parla di corpi in movimento. Corpi che migrano e invecchiano con un sogno nello stomaco; corpi deturpati e mutilati dal potere delle autorità costituite; corpi che partono e non sempre arrivano; corpi che resistono o muoiono.