Un giorno triste così felice. Sócrates, viaggio nella vita di un rivoluzionario – recensione da minimaetmoralia.it

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Ai dirigenti del Botafogo, che gli proposero il primo contratto professionistico, rispose senza tentennamenti: «Voglio diventare un medico, e fare la mia parte per un Brasile democratico». Lo stipendio era funzionale al pagamento dell’università, e si laureò. Quel ragazzino, alto e magro, illuminava il gioco del calcio, che era una questione di ribellione, allegria, passione e fratellanza. Il gioco degli inglesi reinventato come attività artistica. Disegnava, con il pensiero e poi con il piede, traiettorie inimmaginabili per gli altri; dotato di un’intelligenza e una coscienza critica fuori dal comune. Leggeva, e amava, i grandi pensatori e filosofi greci quanto le opere di Jorge Amado e Gabriel Garcia Marquez. «Dovrebbe giocare di schiena con quel tacco che ha», sosteneva Pelé. Lui: «Colpivo la palla di tacco per farvi innamorare, mai un colpo inutile perché la bellezza è un bene necessario».

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Paolo Pasi: HO UCCISO UN PRINCIPIO – recensione da Carmillaonline.com

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  (…) In realtà il gesto di Gaetano Bresci fu molto di più di un attentato. Fu un atto di giustizia individuale ma di fatto collettivo, la punizione storica del Re Mitraglia. Reo di avere premiato i massacratori di centinaia di proletari, nel ’98 milanese ma anche nel resto della penisola. Un incoraggiamento del sovrano a proseguire sulla stessa strada. Come si fece, in effetti. Gli eccidi di povera gente, nel primo decennio del ventesimo secolo, furono innumerevoli. Massacrati a grappoli, per essersi ribellati alla fame, per avere lanciato sassi contro chi impugnava fucili. Bersaglio principale il Meridione, dove le masse erano meno organizzate e più indifese. (…)

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Prove di militarizzazione, la nuova realtà del neofascismo – il manifesto

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Più che mani­fe­sta­zioni, sfi­late di tipo para­mi­li­tare con i par­te­ci­panti dispo­sti non per file, ma inco­lon­nati e in movi­mento al passo dei tam­buri. Nes­suno ai lati. Tutti in divisa: magliette o felpe nere, pan­ta­loni dello stesso colore, anfibi ai piedi. Mol­tis­sime le fiac­cole. Davanti, ad aprire il cor­teo, un nugolo di ban­diere con la croce cel­tica. Così la mani­fe­sta­zione neo­fa­sci­sta di Milano lo scorso 29 aprile, pre­senti tutte le sigle dell’estrema destra, orga­niz­zata per com­me­mo­rare oltre ai caduti mis­sini degli anni Set­tanta, Ser­gio Ramelli ed Enrico Pede­novi, Carlo Bor­sani, un gerarca fasci­sta, fir­ma­ta­rio del Mani­fe­sto sulla razza, non­ché col­la­bo­ra­tore dei nazi­sti, fuci­lato dai par­ti­giani alla libe­ra­zione della città.

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Io sono un autarchico. Ovvero come imparai a vendicarmi infischiandomene dei milazzesi tutti.

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Chi è l’autarchico? In filosofia è chi basta a se stesso, chi è indipendente da tutto e da tutti annullando qualsiasi passione. Chi è Carmelo Pino se non un autarchico? Un autarchico del facciounpòcomemipare legittimato dalla solita corte dei miracoli più qualche clamorosa new entry.
Milazzo doveva andare verso il dissesto e così è stato, perché vendetta si doveva compiere. Sin dal primo giorno del suo insediamento, il sindaco ha portato avanti lo scaricabarile di chi vuole scrollarsi di dosso responsabilità non sue. Legittimo, ma fino a un certo punto. Un buon amministratore, degno di questo nome, dovrebbe si prendere atto della situazione economica disastrosa in cui versa il proprio comune ma non può permettere che la nave affondi. Beh, Pino ha voluto questo e l’ha voluto insieme a suo fratello, i fidi Caravello e Romagnolo e la sua squadra di assessori. Sono tutti responsabili di non aver voluto cambiare rotta, di non aver voluto salvare il salvabile. Di avere perseguito una strategia tesa a innalzare il loro operato come superiore e inoppugnabile, quasi fossero i castigatori degli antichi sprechi. Non si può governare una città ergendosi come “l’uomo solo al comando”. Non si può e non si deve.
Non si può dichiarare che senza consiglio la città rinascerà. E’ incredibile come Pino, con i suoi comportamenti palesemente irrispettosi, sia riuscito nel tentativo di far passare come vittime molti dei principali responsabili tra i consiglieri, dei disastri economici, morali e culturali di questa città. Sia ben chiaro l’ei fu consiglio comunale animato da figure squallide, para-mafiose e massoniche ha le sue responsabilità, ma quando Pino ha deciso di estirparlo a colpi di sentenze, la maschera è caduta. E l’ultima dichiarazione ce lo dimostra. Questa non è l’idea di politica in cui ci riconosciamo e constatiamo senza tante sorprese l’assuefazione dei milazzesi a questa pseudo-investitura divina. Il sindaco di Milazzo resta in sella perché paradossalmente, non ci sono controparti. Nonostante la caduta di Genovese (padrino politico di questa amministrazione), Pino al momento ha fatto il vuoto intorno a se. E’ una politica di palazzo fatta di accordi tra pochi individui che non ascoltano la città e agiscono nella quasi totale indifferenza al fine di attuare i loro disegni premeditati. E quindi forse i milazzesi, amaramente, si meritano di essere rappresentati da un loro fac-simile.

Cronaca di un linciaggio annunciato – il manifesto

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«Pren­derli ammaz­zarli e sot­ter­rarli. L’unica solu­zione!!! Tanto sono inu­tili e non ser­vono a un cazzo!!! Come ‘sti quat­tro comu­ni­sti che girano per di qua», «Se la mat­tina tro­ve­rete la vostra casa o la vostra atti­vità sva­li­giata e saranno spa­riti i vostri beni più cari, credo che di com­pren­sione per que­sta razza di pseu­dou­mani, sarà scesa di molto. Ma nes­suno si domanda come fanno a vivere que­sta gente, rubano e spac­ciano, per­ché sanno benis­simo che le nostre leggi li tute­lano. Sve­glia­tevi gente«.

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La Palestina e la commemorazione della Resistenza – ilFattoQuotidiano

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(…) il diritto di dissentire ed esprimere opinioni diverse non comporta certo quello di aggredire fisicamente chi porta una kefiah o agita una bandiera palestinese. Cosa purtroppo avvenuta il 25 aprile a Roma durante la manifestazione commemorativa della Resistenza. Quando il servizio d’ordine organizzato di un settore della comunità ebraica si è arrogato  il potere di decidere chi poteva manifestare e chi no, sanzionando in qualche caso questi ultimi con una breve ma intensa razione di cazzotti. (…)

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STORIE DI STRAGI, RESISTENZA E ANTIFASCISMO. DA “L’ITALIA CANTATA DAL BASSO” COPPOLA ED

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Memoria di aprile

Da L’Italia cantata dal basso” di Pietro Orsatti – Coppola editore

Le valli di Comacchio immerse nella nebbia. Non è difficile immaginarsela così la mattina del 25 aprile 1945. Anche perché in qualche archivio dell’Anpi c’è un vecchio filmato sgranato che mostra una barca sul fiume carica di partigiani. Pochi fotogrammi ripresi proprio quella mattina. Sullo sfondo, appena visibile nella nebbia, un canneto. A pochi chilometri Ferrara. Ma a quei tempi pochi chilometri rappresentavano una barriera quasi insormontabile, un mondo intero.

A Ferrara, mi raccontavano i miei fin da bambino, arrivarono gli inglesi. I partigiani, apparentemente, si fecero da parte. Le cose andavano così a quei tempi. Quelli che si erano liberati da sé che si facevano indietro davanti ai liberatori stranieri. Poche settimane prima c’era stata la rotta. Sul Po la strage dei tedeschi in fuga. Non c’erano più ponti per passare il fiume in piena. E i soldati si erano buttati nel fiume affidandosi a qualsiasi zattera improbabile, a qualsiasi oggetto galleggiante raccattato durante la fuga. Il fiume non ebbe pietà. Per giorno e giorni affiorarono cadaveri trascinati dalle acque. Le cose andavano così in quell’aprile 1945.

Quando arrivarono a Ferrara gli inglesi, di tedeschi non c’era ombra. Da settimane. Ma la liberarono lo stesso.

Da qualche parte ho visto una copia di uno dei giornali clandestini dell’epoca. Si chiamava “La Scintilla”, lo stampavano in qualche casale sperduto in campagna o in qualche cantina mezza allagata nella città occupata. Era più importante quel pezzo di carta ingiallito di un cannone per la resistenza al nazifascismo. C’è stata tanta gente che è morta per far circolare quel giornale, embrione di una libertà di stampa cancellata da decenni. Ci dedicarono un intero articolo della Costituzione a quella libertà negata, poi, e non fu per caso.

Durante tutto il ventennio fascista, Ferrara fu una città spaccata in due. Da un lato la borghesia urbanizzata, i proprietari terrieri e i latifondisti che aderivano al fascismo. Un fascismo che aveva a Ferrara la faccia di Starace e di Italo Balbo. Dall’altra invece i contadini, i mezzadri e i braccianti e i pochi operai che producevano la ricchezza del territorio. In mezzo la Chiesa, che contemporaneamente benediva la povertà delle campagne e sosteneva lo status quo dei latifondisti.

I socialisti, gli anarchici, i pochi comunisti erano quasi tutti operai agrari, braccianti, stritolati dai fitti e dalla decima del latifondo. Contadini che oltre a subire lo sfruttamento del latifondismo locale, per decenni furono l’obiettivo dei raid delle camicie nere. A suon di bastonate, olio di ricino, incendi e troppo spesso revolverate.

L’azione dello squadrismo agrario nelle campagne, tesa a scompaginare le organizzazioni socialiste, viene accompagnata da una riaggregazione, più o meno coatta, dei lavoratori della terra nelle organizzazioni sindacali fasciste. Massimo artefice di questo disegno Gino Baroncini, eletto segretario della federazione provinciale fascista nel giugno 1921, e sostenuto da Dino Grandi, in contrapposizione ad Arpinati, fortemente contrario alla creazione di sindacati fascisti. Lo scontro fra le due correnti del fascismo è destinato a rinfocolarsi durante la strenua opposizione che i fasci emiliano-romagnoli, sotto la guida di Baroncini e Grandi e con l’avvallo di Balbo, faranno alla applicazione del «patto di pacificazione» coi socialisti firmato da Mussolini nell’agosto 1921. Il dissidio politico porta a una temporanea emarginazione dello stesso Arpinati, favorevole alla linea di Mussolini: avendo egli rinunciato alla carica di segretario del Fascio nel giugno 1921 per dissenso verso la linea politica maggioritaria, viene addirittura escluso dal nuovo direttore nel dicembre dello stesso anno”.

[Fascismo e antifascismo nella Valle padana – Clueb editore]

A complicare il quadro una delle più antiche e fiorenti comunità ebraiche d’Italia. Una comunità perfettamente integrata nella borghesia commerciale della città e che nella fase iniziale del fascismo l’aveva in gran parte anche sostenuto per poi vedere crollare ogni residua illusione con la promulgazione delle leggi razziali. Lo capirono perfettamente, definitivamente, il 21 settembre del 1941 quando le squadre fasciste assaltarono la sinagoga in pieno centro cittadino. Il primo caso del genere in Italia.

(Segue… Continua a leggere)